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In India / William Dalrymple

Un resoconto ben documentato dell'India della fine del Novecento, coi suoi costumi, le tradizioni, le politiche, le violenze, la condizione delle donne, scritto e tradotto in maniera magistrale. Assolutamente da leggere per scoprire quel subcontinente.

Uomini senza donne / Haruki Murakami

Uomini senza donne è una raccolta di sette racconti in cui, per l’appunto, i protagonisti rimangono soli senza donne.

In "Drive my car" il dialogo tra l’attore Kafuku e la guidatrice silenziosa Misaki, porta a galla il tradimento della sua defunta moglie e il ricordo di aver voluto conoscere l’ultimo dei suoi amanti, il quale in un bar, gli aveva raccontato tutto, obnubilato dai fumi dell’alcool. La sorta di familiarità che nasce tra i due, visto la condivisione della stessa donna, mette in luce un carattere maschile che non so sino a che punto sarebbe possibile nella nostra mentalità occidentale.

Anche in "Yesterday" c’è questa sorta di scambio e di condivisione di una giovane donna, tra un ragazzotto strampalato che modifica le parole di questa famosissima canzone e il suo amico del cuore che poi, non osa mettersi con lei. Il descrivere i sogni, tipico dei racconti della Yoshimoto, l’ho ritrovato anche qui in quello in cui la ragazza da condividere narra il suo sulla luna di ghiaccio; così come il ricordo di vite precedenti nel racconto "Shahrazād", in cui una madre di famiglia divenuta l’amante di un uomo che non si sa perché rinchiuso in casa, gli rivela che un tempo era stata una lampreda. Credo che questo rientri nel mondo fiabesco giapponese, con le credenze di quel paese.
Mi ha colpito "Organo indipendente" che ha per protagonista un brillante medico playboy che si lascia morire di fame per amore di una donna che alla fine abbandona il marito e lui medesimo, tanto che il titolo indica che l’organo indipendente che solo le donne hanno, è quello di saper mentire con naturalezza.

Bello "Kino", inserito in un’ambientazione notturna sfumata, col personaggio misterioso dell’uomo solitario che, presumo, sia un kami che lo protegge; e anche la donna bellissima e il gatto che porta clientela nel bar devono essere qualcosa di simile: degli spiriti buoni, mentre i serpenti sono qualcosa di fastidioso. Nella cultura scintoista essi rappresentano il cambiamento per via della pelle che mutano, e qui l’autore, con la loro presenza, forse ha trovato la scusa per spingere il protagonista a viaggiare spostandosi spesso, alla ricerca di se stesso. Chissà.

In "Samsa innamorato" Murakami, inverte la situazione del protagonista del racconto di Kafka, mutandolo in un uomo, forse a significare la fatica del vivere, che si invaghisce di una ragazza gobba. La denuncia all’invasione dei carri armati sovietici a Praga potrebbe suggerisce che lo sconvolgimento politico ricade sempre sugli esseri umani che debbono per forza di cose subire un cambiamento nelle loro esistenze. Se pensiamo al nostro presente, l’invasione è quella della Csi contro l’Ucraina, che sta cambiando molte cose.

Nell’ultima storia che dà il titolo al libro: "Uomini senza donne" ,si scopre che essi sono coloro che, profondamente innamorati, vengono abbandonati di punto in bianco.

Insomma, uomini e donne sono due mondi diversi: loro non capiscono del tutto noi e noi non capiamo del tutto loro.

copertina - Ayelet Gundar-Goshen

“Dove si nasconde il lupo” è un romanzo che parla della paura del futuro, della paura per l’altro, che può addirittura abitare in casa tua.
Devo dire che h’ho trovato piuttosto lento nella prima metà. La vicenda narrata non ha nulla di nuovo nel panorama americano il cui melting pot non ha dato vita alla parità tra gli abitanti. L’egemonia del paese rimane nelle solite mani dei wasp. Ogni gruppo chiamiamolo “etnico” sta coi suoi connazionali, quindi anche il timido Adam, uscendo dal guscio protettivo della famiglia, comincia a frequentare altri ragazzi israeliani. Il razzismo è latente e basta poco a scatenarlo e in questa vicenda non è un nero ad essere bullizzato da un bianco, ma viceversa; ma il bianco rientra anch’esso in una categoria di cittadini posta a un gradino intermedio della scala sociale, quindi attaccabile. La lettura non mi ha dato emozioni, è un narrare il tran tran quotidiano coi suoi alti e bassi. Anche l’accusa di omicidio che apre il libro e che desta l’attenzione del lettore per sapere come quella famiglia se la caverà per salvare il figlio, finisce in una bolla di sapone. La madre è una donnetta paurosa seppure in passato ha avuto un’esperienza militare (forse c’entrerà anche la morte della primogenita); suo marito Michael apparentemente attento ai bisogni della famiglia è sempre assente perché fa un lavoro che lo gratifica ed è molto macho (stereotipo del maschio vincente che se la fa con la segretaria), così come il suo amico che allena all’autodifesa il gruppo dei ragazzi israeliani. Quest’ultimo però è un fallito che non è riuscito ad avere successo come Michael e quindi froda. I personaggi sono tra il tutto tondo e il piatto: né carne né pesce. Storia che non ho trovato coinvolgente, nonostante la fama dell’autrice.

Guarda le luci, amore mio - Annie Ernaux

Nel libro l’autrice racconta le sue considerazioni e annotazioni sotto forma di diario, legate a circa un anno di frequentazione di un supermercato della catena Auchan (cosa che li avrà certo resi felici), un luogo che ella sostiene, appare alla gente come una sorta di paese del Bengodi, dove tutti i sogni sono lì, a portata di mano. Ci sono reparti per tutte le tasche, gente di tutte le etnie, di cui accenna comportamenti e commenti; le espressioni in coda per pagare alla cassa e pure la velocità o lentezza dei cassieri (cosa che conta per l’azienda), gli orari di maggior o minore afflusso e il tipo di frequentatori; il fatto che le donne sono più organizzate e sicure nel fare gli acquisti, perché di solito preparano un elenco di ciò che va comperato, mentre gli uomini telefonano a casa per domandare alle mogli ragguagli. Parla dei parcheggi dove tutti cercano un posto vicino alle entrate, parla del fastidio di quando ci capita un carrello che va storto; insomma, tutte le piccole cose del quotidiano legate al rito del fare la spesa. Talvolta inserisce brevi righe di incidenti accaduti in fabbriche del terzo mondo dove i lavoratori che producono merci per noi occidentali, e che vengono retribuiti con salari da fame, muoiono in seguito ad esplosioni o a crolli degli edifici o altre catastrofi, sottolineando che da noi quelle notizie non fanno notizia. Credo che, a chi la apprezza, piaccia il modo semplicissimo di narrare, perché i suoi pensieri, in fondo, rispecchiano mediamente quelli di tutti. Lei medesima dice che chi un giorno leggerà i suoi lavori vedrà come viviamo noi oggi, come facciamo la spesa, che in futuro, forse si farà in modo diverso. Col covid, dico io, effettivamente, sono aumentate gli acquisti on line. Insomma, è la scrittrice del normale quotidiano.

Cassandra a Mogadiscio - Igiaba Scego

Del romanzo ho trovato interessante la parte storica, quella che ai più per lungo tempo si è voluta nascondere, ovvero la vergogna del colonialismo italiano nel corno d’Africa. La Scego tratta le vicende della sua terra da un punto di vista familiare e quindi personale nonché intimo, quasi ella medesima sia un personaggio che, riportando i soprusi, le barbarie, il razzismo, la violenza che il governo fascista e poi quello post-bellico italiano fecero subire alla popolazione somala, fa emergere lo squallore della nostra iattanza e il fatto che non c’è stata come in Germania, dico io, una presa di coscienza con relativo rimorso. A volte si prova quasi imbarazzo a entrare nell’intimità della sua famiglia e in quella dell’autrice, ma poi sul pudore prevalgono i fatti: la guerra, la morte, le malattie, ma pure la terribile pratica tradizionale dell’infibulazione, che mi fa pensare che in tutto il mondo noi donne siamo sempre state considerate prevalentemente per ciò che abbiamo sotto l’ombelico.

La sua narrazione non riguarda però solo il passato fascista, ma pure la dittatura di tipo sovietico instaurata da Siad Barre nel ’91, che col suo colpo di stato ha stravolto nuovamente la vita della sua famiglia lasciandole ferite profonde che si manifestano nel Jirro di cui lei tanto parla; però il resoconto dei traumi sintetizzati da questo vocabolo, è intervallata da ricordi dolci: la Mogadiscio fiabesca che ora non c’è più, gli abiti colorati delle donne, i cibi speziati, il paesaggio arido abitato dai dromedari cui sua madre bambina faceva da guardiana, il senso di libertà spaziale provata da Igiaba nel periodo trascorso in Somalia…

Ella lamenta poi il fatto che ai vecchi colonizzatori dell’Africa tutta, si sono sostituiti i nuovi: russi e cinesi che li hanno intrappolati nella loro furba ragnatela commerciale e militare.

Ma l’autrice, che si sente italiana e romana, parla anche dell’Italia attuale, quella che guarda dall’alto al basso chi ha la pelle scura, che ha un sistema sanitario nazionale malfunzionante, quella che manda nei paesi del terzo o quarto mondo, prodotti tossici per farli sparire, inquinando senza remora alcuna luoghi bellissimi.

E se il contenuto del libro, scritto come una lunga lettera a sua nipote Soraya, tutto sommato cattura per il suo contenuto, non mi ha catturato lo stile telegrafico e un po’ infantile, spezzato alla massima potenza. Una frase seppur minima dovrebbe avere un soggetto, un predicato e un complemento, e invece nel testo ci sono una miriade di parole sole solette seguite dal punto; tanto che per ben leggere la sua storia in modo fluido, ho dovuto sorvolare le tonnellate di punti fermi.

Il cielo è dei violenti - Flannery O'Connor

“Il cielo è dei violenti” della scrittrice americana Flannery O’Connor (1925-1964) è un romanzo cupo, che mi ricorda per atmosfera, quelli dell’orrore di Lovecraft, sebbene i temi siano completamente differenti. I personaggi all’interno della storia si somigliano tra loro: il prozio è un pazzo fanatico, il quattordicenne Frankie è anch’egli un pazzo che parla con un altro se stesso, il figlio dello zio Rayber, ateo che lotta tra sé contro l’antica maledizione famigliare di essere profeti, è un povero bambino demente; la ragazzina che in chiesa declama con fervore delirante ciò che le hanno inculcato gli esaltati genitori è un altro esempio di mancanza di equilibrio e di intolleranza religiosa. Il prozio Francis Marion e il nipote hanno la fissa del battesimo; forse l’autrice ha giocato anche col cognome della famiglia: water acqua, ma pure con tar, parola che presa da sola significa catrame; insomma: acqua sporca? Ma questa è solo una mia supposizione.

Frank Tarwater l’ho trovato inquietante. Il suo comportamento è alquanto improbabile: non è una persona viva, ma una sorta di marionetta agita solo dalla rabbia e dalla fissazione del battesimo, un essere senza cuore e con poco cervello, un essere anaffettivo e alessitimico come Grenouille, il protagonista di un romanzo che mi aveva colpita sfavorevolmente, ovvero quello de “Il profumo” di Süskind. La O’Connor forse lascia sulla carta le sue inquietudini, il suo triste stato di salute e la sua cupezza per denunciare, sebbene lei sia una donna religiosa, gli eccessi della fede. Per quanto riguarda la scrittura, nella prima parte del romanzo ci sono salti temporali che confondono un poco e quindi ho dovuto soffermarmi e rileggere. Nonostante queste mie personali considerazioni, rimane comunque un romanzo che vale la pena di leggere, per capire una certa mentalità americana di quegli anni.

Il corpo nero - Anna Maria Gehnyei

L’impressione che ho avuto leggendo “Il corpo nero” di Anna Maria Gehnyei, è quella che si tratti di un diario breve nel quale l’autrice ha raccolto, forse da uno più lungo, certi ricordi della sua vita che riguardano l’emarginazione subita a causa del colore della pelle, a partire da quando andava alle elementari e sedeva nel banco insieme alla sua gemella meno timida di lei, sino ad arrivare ad essere finalmente riconosciuta italiana grazie alla cittadinanza; un’attesa vissuta da sempre come un’ingiustizia, visto che è nata a Roma, sebbene da genitori liberiani.
Attraverso una scrittura alla portata di tutti, ella narra dei suoi genitori, della grande famiglia romana formata non solo dai parenti, ma anche da amici di famiglia considerati zii e cugini pur non essendolo di fatto. Ella racconta l’andirivieni di costoro nella piccola casa romana, dove c’era sempre posto per tutti e dove, in compagnia, si mangiavano speziate, piccanti o dolcissime pietanze liberiane. Interessante il suo viaggio assieme al fidanzato biondo con gli occhi verdi, fatto alla scoperta del paese natio dei genitori, alla scoperta delle sue origini, della gente, di familiari di cui aveva solo sentito parlare, delle usanze tribali, delle credenze e superstizioni ancora esistenti, dei luoghi e della bellezza dei paesaggi, ma anche della violenza imperante continuata anche dopo la guerra civile in Liberia.
Il libro chiude con una nuova consapevolezza dell’autrice che finalmente sa chi è: italiana e al contempo africana; chiude con lei che si sente una volta per tutte a suo agio nel corpo nero che le ha donato la natura, corpo che ora trova bello e tramite il quale esprime il suo amore per la danza e le sue capacità canore.
Però la fine del rapporto col fidanzato, cominciato quando egli le aveva organizzato una festa a sorpresa per il raggiungimento della tanto agognata cittadinanza, sorpresa che lei non aveva assolutamente gradito, reputo stia anche a significare che non è poi così facile la convivenza tra due provenienze culturali così diverse.

L'ombra del nemico - Marta Serafini

Il saggio giornalistico racconta la triste realtà dei paesi governati dall'estremismo islamico e la questione femminile grazie ad una coraggiosa giornalista che ha vissuto sul campo le esperienze che riporta.

R: Il Signore delle Mosche / William Golding ; presentato da Stephen King

Ciò che ho apprezzato in questo romanzo è la narrazione lenta e ragionata. E' la storia di una donna dell'anno Mille, che cerca il suo spazio come medico in un mondo totalmente maschilista e governato dalla Chiesa che reputa la donna adatta solo al matrimonio, alla maternità, alla monacazione e che è meglio non sappia leggere.

Una specie di paradiso - Franco Gilberto, Giuliano Piovan

Trasposizione moderna e romanzata del diario ritrovato nel secolo dei Lumi, del vicentino Antonio Pigafetta, che partì insieme a Magellano per dimostrare che la Terra è rotonda. Sono narrate le disavventure e le avventure di più di cinquecento uomini di vari paesi europei, che vi parteciparono e che tornarono solo in diciotto. Si viaggia a bordo delle loro navi con lo stesso spirito di meraviglia e timore per l'ignoto, tra tempeste marine e caldi e accoglienti paesi tropicali, abitati da popoli più o meno pacifici. Ne esce la figura di un uomo con la testa sulle spalle, pacato e riflessivo, nonostante i molteplici avvenimenti.

L'epitaffio di Issione - Pino Iannello

“L’Epitaffio di Issione” è un testo inserito in una collana di libri gialli; in realtà la mia impressione è che sia uno di quei romanzi che un tempo venivano definiti di genere gotico. Dico questo perché se il protagonista è un antropologo che si trova involontariamente invischiato in una misteriosa storia che ha dell’incredibile e che lo porta ad incontrare un turbine di personaggi bizzarri, equivoci e temibili, suo formidabile antagonista è il Diavolo, cui deve avere a che fare suo malgrado, nonostante l’iniziale incredulità. Il lettore si trova pertanto a camminare nell’intricato e inquietante labirinto creato dall’autore che lo conduce attraverso questo pericoloso percorso alla progressiva scoperta di arcani segreti che lo terranno in sospeso sino al terribile e catartico finale.

La vergine napoletana / Giuseppe Pederiali

Romanzo davvero avvincente, che narra la storia dell'ultimo Corradino di Svevia, mezzo nobile e mezzo popolano, in una Napoli coloratissima e miserabile, una sorta di corte dei miracoli. Diversi sono i personaggi che animano la storia le cui vicende si intrecciano mano a mano. Emerge la crudeltà dei potenti, ma anche quella del popolo bue che assalta il quartiere ebraico della città. Non è facile staccarsi dagli avvenimenti narrati con ritmo. Unico capitolo che toglierei è quello sui topi, inutile ai fini della vicenda. Consiglio il romanzo a chi ama la storia e l'emozione dell'avventura.

Il sorriso di Caterina - Carlo Vecce

Il romanzo è scritto veramente bene, e meriterebbe cinque stelle per le descrizioni, per le ambientazioni e per le precise ricerche storiche; il neo però, è che non ci si affeziona a nessun personaggio, tanti sono, nonostante ad ognuno di essi l'autore dedichi un capitolo di cui racconta dettagliatamente vita, morte e miracoli, mentre la madre di Leonardo da Vinci rimane solo un labile e sottilissimo filo conduttore tra uno e l'altro, una sorta di ectoplasma biondo di cui, per ovvi motivi, l'autore non ha potuto dire molto; quindi: alta qualità di scrittura, ma poco coinvolgente. Tra l'altro c'è uno svarione, in un certo punto si parla di campi di mais, ma all'epoca della narrazione l'America non era ancora stata scoperta.